mercoledì 4 novembre 2009

Tolleranza e relatività del costume e della morale nel mondo antico.

Tolleranza e relatività del costume e della morale nel mondo antico.
Con il termine tolleranza si indica la capacità di accettare i comportamenti, i pensieri, le credenze e i modi di vivere delle persone che vivono al di fuori della nostra società. In questo periodo si parla molto di tolleranza e di intolleranza, dunque, potrebbe essere utile dare uno sguardo al mondo classico. Gli ambiti in cui si sono manifestati atti di intolleranza e si manifestano sono molteplici: dalla politica estera ( guerre espansionistiche, colonialismo) ai rapporti interni alla società civile ( emarginazione degli stranieri, delle minoranze, schiavitù) e ai rapporti privati ( subordinazione della donna e pregiudizi nei confronti dei diversi). Gli antichi furono intolleranti soprattutto a livello religioso ed etnico. Vigeva dunque un atteggiamento etnocentrico in base al quale ogni comportamento estraneo al mos maiorum era guardato con diffidenza e condannato. Il mondo antico fu meno tollerante di quanto si possa credere. Già l’idea di barbaro fu coniata dai greci e denota gli stranieri che non erano in grado di parlare la lingua greca e quindi balbettano: la parola implicò subito un’inferiorità morale e razziale. I romani furono leggermente più aperti verso le altre genti, a patto che non s’opponessero all’assimilazione da parte di Roma. Il termine barbarus è entrato nel mondo latino con la stessa accezione negativa, i romani entrarono a contatto con popolazioni tanto lontane dalla loro mentalità, da indurre perfino a dubitare di avere a che fare con esseri umani ( si legga il capitolo finale della Germania di Tacito). In Grecia, nell’ambito della sofistica, vi furono posizioni improntate su un “relativismo culturale”, cioè vi era il riconoscimento della disparità dei valori che presiedono alla diverse civiltà, che potremmo definire in termini moderni “ illuministico”. Anche Erodoto, che ebbe contatti con l’ambiente sofistico, condivise tale indirizzo illuministico. Passando dal mondo greco a quello latino, anche Cornelio Nepote nella prefazione al De viris illustribus, nel legittimare e quasi giustificare la varietà dei comportamenti dei famosi uomini greci, afferma una sorta di relativismo culturale e morale. Lo storico romano sostiene che i vari costumi di un popolo non debbano essere giudicati dal punto di vista dell’osservatore, ma sulla base di criteri interni al popolo stesso. Ancora oggi non siamo capaci di estraniarci dal nostro contesto sociale e culturale, ma tendiamo, odiosamente, a giudicare come sconvenienti comportamenti di altre popolazioni che a noi appaiono estranei. L’abitudine ci porta a operare tale discriminazione tra le nostre usanze e quelle del vicino e come si sa molte volte queste incongruenze nel modo di vedere il mondo sfociano in cruenti e duraturi conflitti. E’, comunque, difficile operare un distacco dalla realtà sociale che viviamo, tale problema è al centro di tantissime e recenti ricerche sociologiche. Cornelio Nepote cerca di dare una soluzione a tale problema e afferma che il parametro per giudicare gli usi e i costumi di un dato popolo sono da rintracciare nelle tradizioni che regolano il comportamento comune. Di fianco a tali dichiarazioni, nel mondo romano, assistiamo a un antisemitismo. Non vorrei passare a conclusioni affrettate e questa sede appare la meno idonea per trattare tale delicato argomento, l’antisemitismo latino è molto diverso rispetto all’antisemitismo nazista. I latini nutrivano profondi pregiudizi verso gli ebrei. Cicerone (Pro Flacco 67) li attacca per quanto riguarda l’influenza delle pubbliche adunanze. Giovenale e Orazio pongono l’accento sulle singole usanze ebraiche, comunque, non vi è odio razziale, ma solo ironia. La più grande sintesi delle odiose vedute antisemite dei romani sono contenute nel libro quinto delle Historiae di Tacito. La testimonianza di Tacito dimostra che a Roma vi era il timore che una popolazione estranea potesse danneggiare il costume degli avi e quindi minare le fondamenta della società romana. Ma il comportamento antisemita è continuato anche in epoca tardo antica, ciò è testimoniato dalle parole di Rutilio Namaziano nel suo poemetto De reditu suo (I 383-398) in cui odiosamente esprime atteggiamenti intolleranti largamente condivisi. Rutilio Namaziano, ha comportamenti intolleranti anche verso gli stessi cristiani (sono famose le invettive contro i monaci della Capraia e di Gorgona). Nell’epoca della decadenza di Roma Quinto Aurelio Simmaco ci offre una particolare lezione: egli si fece portatore di una concezione ispirata al pluralismo e alla tolleranza religiosa che egli riassunse nelle parole. « Dobbiamo riconoscere che tutti i culti hanno un unico fondamento. Tutti contemplano le stesse stelle, un solo cielo ci è comune, un solo universo ci circonda. Che importa se ognuno cerca la verità a suo modo? Non si può seguire una sola strada per raggiungere un mistero così grande. »*. (Quinto Aurelio Simmaco, Relatio de ara Victoriae)

*Aequum est quicquid omnes colunt unum putari. Eadem spectamus astra, commune caelum est, idem nos mundus involvit; quid interest qua quisque prudentia verum requirat? Uno itinere non potest perveniri ad tam grande secretum.

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