venerdì 31 luglio 2009

Tibullo Elegia I 1-45

Di Albio Tibullo sappiamo ben poco, nacque intorno al 50 a.C. in Lazio, vi evito poi altri dettagli sulla vita. Le opere di Tibullo sono inserite in una raccolta di libri chiamata Corpus Tibullianum. Seguendo il modello elegiaco, Tibullo predilige una vita appartata e semplice, dove alla vita rurale si accompagnavano amori. Di fronte alle angosce di una vita angosciosa spesa in città, tra gli affari e il lusso, portatori di preoccupazioni, la campagna si presentava come un porto sicuro , un rifugio di pace e serenità. Se Properzio l'evasione la trovava nel mondo mitologico, tibullo la trova nella vita agreste, però per entrambi sono due mondi di sogno e aspirazione. Infatti per il nostro autore la campagna non è un luogo X, ma un luogo ideale dove sarebbe possibile la felicità lontana dalle tensioni quotidiane. Tale caratteristica la si può notare nel suo stile: egli infatti fa uso spesse volte di futuri e congiuntivi desiderativi e non indicativi. Lo stile di Tibullo è semplice e lineare, tale però è frutto di un controllo stilistico e e di cura formale, non di trascuratezza e di mancata ricercatezza; è interessante, ergo, notare come lo giudicò Quintiliano: "tersus atque elegans". Voglio porgervi qui l'elegia proemiale, che probabilmente venne composta a libro finito, ma collocata all'inizio perché programmatica. Troviamo,infatti, i temi tipici della poesia tibulliana: il rifiuto della guerra, l'aspirazione verso una vita di campagna, in cui l'amore per il mondo rurale si fonde con l'amore per la "domina". Vi è il contrasto tra la vita semplice e passata nell'ombra, ma certamente felice, del poeta, e le dannose aspirazioni belliche di coloro che vogliono conseguire la gloria anche a scapito della loro stessa vita. Tibullo era certamente molto apprezzato nell'antichità, però cn lo scorrere del tempo perse fama e la riacquistò durante l'umanesimo, ciò è testimoniato dall'assenza di codici tradoantichi e medievali, i primi codici conosciuti sono:l'Ambrosiano (A) del 1375, e il Vaticano Latino 3270 di inizio '400.

Divitias alius fulvo sibi congerat auro
Et teneat culti iugera multa soli,
Quem labor adsiduus vicino terreat hoste,
Martia cui somnos classica pulsa fugent:
Me mea paupertas vita traducat inerti, 5
Dum meus adsiduo luceat igne focus.
Ipse seram teneras maturo tempore vites
Rusticus et facili grandia poma manu;
Nec spes destituat, sed frugum semper acervos
Praebeat et pleno pinguia musta lacu. 10
Nam veneror, seu stipes habet desertus in agris
Seu vetus in trivio florida serta lapis,
Et quodcumque mihi pomum novus educat annus,
Libatum agricolae ponitur ante deo.
Flava Ceres, tibi sit nostro de rure corona 15
Spicea, quae templi pendeat ante fores,
Pomosisque ruber custos ponatur in hortis,
Terreat ut saeva falce Priapus aves.
Vos quoque, felicis quondam, nunc pauperis agri
Custodes, fertis munera vestra, Lares. 20
Tunc vitula innumeros lustrabat caesa iuvencos,
Nunc agna exigui est hostia parva soli.
Agna cadet vobis, quam circum rustica pubes
Clamet 'io messes et bona vina date'.
Iam modo iam possim contentus vivere parvo 25
Nec semper longae deditus esse viae,
Sed Canis aestivos ortus vitare sub umbra
Arboris ad rivos praetereuntis aquae.
Nec tamen interdum pudeat tenuisse bidentem
Aut stimulo tardos increpuisse boves, 30
Non agnamve sinu pigeat fetumve capellae
Desertum oblita matre referre domum.
At vos exiguo pecori, furesque lupique,
Parcite: de magno est praeda petenda grege.
Hic ego pastoremque meum lustrare quotannis 35
Et placidam soleo spargere lacte Palem.
Adsitis, divi, neu vos e paupere mensa
Dona nec e puris spernite fictilibus.
Fictilia antiquus primum sibi fecit agrestis
Pocula, de facili conposuitque luto. 40
Non ego divitias patrum fructusque requiro,
Quos tulit antiquo condita messis avo:
Parva seges satis est, satis requiescere lecto
Si licet et solito membra levare toro.
Quam iuvat inmites ventos audire cubantem 45
Et dominam tenero continuisse sinu
Aut, gelidas hibernus aquas cum fuderit Auster,
Securum somnos igne iuvante sequi.


Altri ammassino per sé ricchezze d'oro splendente
e tengano molti iugeri di terra coltivata,
e lo preoccupi l'ansia per il nemico vicino,
Il suono marziale delle trombe gli tolga il sonno:
me accompagni la mia povertà ad una vita tranquilla,
purché il mio focolare rifulga di luce assidua.
Io stesso come contadino pianterò a tempo opportuno le viti
e con mano esperta splendidi alberi da frutto:
la Speranza non deluda ma offra sempre covoni di grano
e un tino sempre pieno di mosto.
Perché io venero sia un ceppo lasciato nei campi
sia la vecchia pietra all'incrocio tra più strade a cui si recano corone di fiori
e qualunque frutto che l'anno nuovo fa crescere
lo pongo dinnanzi al dio agreste.
Bionda Cerere abbi una corona di spighe dal nostro campo
affinché penda davanti alle porte del tempio;
si ponga nei fertili orti un rosso custode,
un Priapo che spaventi, con la minacciosa falce, gli uccelli.
Voi anche, una volta felici, custodi
di un povero campo, riceve i doni a voi spettanti, o Lari.
Allora l'uccisione di una vitella purificava innumerevoli giovenchi:
ora una piccola agnella è vittima di un piccolo campo.
L'agnella cadrà per voi: ed intorno ad essa la rustica gioventù
canterà: " evviva date date messi e buon vino !".
Ch'io possa, ch'io possa contento vivere con poco,
né essere sempre dedito alla luna via,
ma evitare il sorgere estivo della canicola all'ombra di un albero
alla riva di un ruscello di acqua fresca.
Né per giunta mi vergogno di tenere il bidente,
o di stimolare i lenti buoi con il pungolo;
non mi spiacerà riportare in braccio all'ovile un'agnella
o un piccolo capretto abbandonato per la madre dimentica.
Ma voi ladri e lupi risparmiate il piccolo gregge:
da un grande gregge deve essere ricercata la preda.
Qui io sono solito ogni anno purificare il mio pastore
e spargere latte alla placida Pale.
Assistetemi, o dei, e non disprezzate i doni dalla mia povera mensa
né da vasi d'argilla.
L'antico contadino si costruì per primo vasi d'argilla
e li plasmò da malleabile creta.
Non richiedo le ricchezze e i guadagni dei padri
che la messe riposta forniva all'antico avo:
un piccolo raccolto mi basta; è sufficiente riposare nel mio letto
e distendere il mio corpo sul solito divano.
Quanto è bello ascoltare mentre si è a letto il vento minaccioso,
e tenere l'amata in un tenero abbraccio,
o quando lo scirocco invernale rovescia gelide acque
e abbandonarsi sicuro al sonno all'invito della pioggia.

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