giovedì 16 aprile 2009

Il sogno

Il sogno



    Era il mattino, e tra le chiuse imposte
    Per lo balcone insinuava il sole
    Nella mia cieca stanza il primo albore;
    Quando in sul tempo che più leve il sonno
    E più soave le pupille adombra,
    Stettemi allato e riguardommi in viso
    Il simulacro di colei che amore
    Prima insegnommi, e poi lasciommi in pianto.
    Morta non mi parea, ma trista, e quale
    Degl'infelici è la sembianza. Al capo
    Appressommi la destra, e sospirando,
    Vivi, mi disse. e ricordanza alcuna
    Serbi di noi? Donde, risposi, e come
    Vieni, o cara beltà? Quanto, deh quanto
    Di te mi dolse e duol: nè mi credea
    Che risaper tu lo dovessi; e questo
    Facea più sconsolato il dolor mio.
    Ma sei tu per lasciarmi un'altra volta?
    Io n'ho gran tema. Or dimmi, e che t'avvenne?
    Sei tu quella di prima? E che ti strugge
    Internamente? Obblivione ingombra
    I tuoi pensieri, e gli avviluppa il sonno,
    Disse colei. Son morta, e mi vedesti
    L'ultima volta, or son più lune. Immensa
    Doglia m oppresse a queste voci il petto.
    Ella seguì: nel fior degli anni estinta,
    Quand'è il viver più dolce, e pria che il core
    Certo si renda com'è tutta indarno
    L' umana speme. A desiar colei
    Che d ogni affanno il tragge, ha poco andare
    L'egro mortal; ma sconsolata arriva
    La morte ai giovanetti, e duro è il fato
    Di quella speme che sotterra è spenta.
    Vano è saper quel che natura asconde
    Agl'inesperti della vita, e molto
    All'immatura sapienza il cieco
    Dolor prevale. Oh sfortunata, oh cara,
    Taci, taci, diss'io, che tu mi schianti
    Con questi detti il cor. Dunque sei morta,
    O mia diletta, ed io son vivo, ed era
    Pur fisso in ciel che quei sudori estremi
    Cotesta cara e tenerella salma
    Provar dovesse, a me restasse intera
    Questa misera spoglia? Oh quante volte
    In ripensar che più non vivi, e mai
    Non avverrà ch'io ti ritrovi al mondo,
    Creder nol posso. Ahi ahi, che cosa è questa
    Che morte s'addimanda? Oggi per prova
    Intenderlo potessi, e il capo inerme
    Agli atroci del fato odii sottrarre.
    Giovane son, ma si consuma e perde
    La giovanezza mia come vecchiezza;
    La qual pavento, e pur m'è lunge assai.
    Ma poco da vecchiezza si discorda
    Il fior dell'età mia. Nascemmo al pianto,
    Disse, ambedue; felicità non rise
    Al viver nostro; e dilettossi il cielo
    De' nostri affanni. Or se di pianto il ciglio,
    Soggiunsi, e di pallor velato il viso
    Per la tua dipartita, e se d'angoscia
    Porto gravido il cor; dimmi: d'amore
    Favilla alcuna, o di pietà, giammai
    Verso il misero amante il cor t'assalse
    Mentre vivesti? Io disperando allora
    E sperando traea le notti e i giorni;
    Oggi nel vano dubitar si stanca
    La mente mia. Che se una volta sola
    Dolor ti strinse di mia negra vita,
    Non mel celar, ti prego, e mi soccorra
    La rimembranza or che il futuro è tolto
    Ai nostri giorni. E quella: ti conforta,
    O sventurato. Io di pietade avara
    Non ti fui mentre vissi, ed or non sono,
    Che fui misera anch'io. Non far querela
    Di questa infelicissima fanciulla.
    Per le sventure nostre, e per l'amore
    Che mi strugge, esclamai; per lo diletto
    Nome di giovanezza e la perduta
    Speme dei nostri dì, concedi, o cara,
    Che la tua destra io tocchi. Ed ella, in atto
    Soave e tristo, la porgeva. Or mentre
    Di baci la ricopro, e d'affannosa
    Dolcezza palpitando all'anelante
    Seno la stringo, di sudore il volto
    Ferveva e il petto, nelle fauci stava
    La voce, al guardo traballava il giorno.
    Quando colei teneramente affissi
    Gli occhi negli occhi miei, già scordi, o caro,
    Disse, che di beltà son fatta ignuda?
    E tu d'amore, o sfortunato, indarno
    Ti scaldi e fremi. Or finalmente addio.
    Nostre misere menti e nostre salme
    Son disgiunte in eterno. A me non vivi
    E mai più non vivrai: già ruppe il fato
    La fe che mi giurasti. Allor d'angoscia
    Gridar volendo, e spasimando, e pregne
    Di sconsolato pianto le pupille,
    Dal sonno mi disciolsi. Ella negli occhi
    Pur mi restava, e nell'incerto raggio
    Del Sol vederla io mi credeva ancora.

Nessun commento:

Posta un commento