venerdì 10 aprile 2009

Lucrezio, i testi: l'inno a Venere De rerum natura I 1-43



Aeneadum genetrix, hominum divumque voluptas,
alma Venus, caeli subter labentia signa
quae mare navigerum, quae terras frugiferentis
concelebras, per te quoniam genus omne animantum
concipitur visitque exortum lumina solis: 5
te, dea, te fugiunt venti, te nubila caeli
adventumque tuum, tibi suavis daedala tellus
summittit flores, tibi rident aequora ponti
placatumque nitet diffuso lumine caelum.
nam simul ac species patefactast verna diei 10
et reserata viget genitabilis aura favoni,
aeriae primum volucris te, diva, tuumque
significant initum perculsae corda tua vi.
inde ferae pecudes persultant pabula laeta 15
et rapidos tranant amnis: ita capta lepore 14
te sequitur cupide quo quamque inducere pergis. 16
denique per maria ac montis fluviosque rapacis
frondiferasque domos avium camposque virentis
omnibus incutiens blandum per pectora amorem
efficis ut cupide generatim saecla propagent. 20
quae quoniam rerum naturam sola gubernas
nec sine te quicquam dias in luminis oras
exoritur neque fit laetum neque amabile quicquam,
te sociam studeo scribendis versibus esse,
quos ego de rerum natura pangere conor 25
Memmiadae nostro, quem tu, dea, tempore in omni
omnibus ornatum voluisti excellere rebus.
quo magis aeternum da dictis, diva, leporem.
effice ut interea fera moenera militiai
per maria ac terras omnis sopita quiescant; 30
nam tu sola potes tranquilla pace iuvare
mortalis, quoniam belli fera moenera Mavors
armipotens regit, in gremium qui saepe tuum se
reiicit aeterno devictus vulnere amoris,
atque ita suspiciens tereti cervice reposta 35
pascit amore avidos inhians in te, dea, visus
eque tuo pendet resupini spiritus ore.
hunc tu, diva, tuo recubantem corpore sancto
circum fusa super, suavis ex ore loquellas
funde petens placidam Romanis, incluta, pacem; 40
nam neque nos agere hoc patriai tempore iniquo
possumus aequo animo nec Memmi clara propago
talibus in rebus communi desse saluti.



Madre degli Eneadi, piacere degli uomini e degli dei
alma venere che sotto le mobili volte stellate
vivifichi il mare pieno di barche e la terra che porta frutti
attraverso la tua azione ogni essere vivente
è concepito e vede nato la luce del sole
fuggono da te, o dea, i venti, e al tuo arrivo
le nubi del cielo, per te la terra industriosa
fa cresce dolci fiori, per te ridono le marine distese
e palcato, il cielo, risplende di luce diffusa.
Infatti, non appena si apre alla vista un giorno primaverile
e soffia con forza la brezza fecondatrice del Favonio liberato dai vincoli,
gli uccelli per primi annunziano te e il tuo arrivo,
colpiti nel cuore dalla tua forza.
Poi le fere belve e gli armenti gioiscono per i lieti pascoli
e attraversano i vorticosi fiumi così ognuno preso dal piacere
ti segue bramosamente dovunque tu voglia menarlo.
Insomma per mari e i monti e fiumi impetuosi
e le frondose case degli uccelli, e i verdi campi
spirando a tutti per il petto un blando amore
fai in modo che le stirpi cupidamente si propaghino per generazioni.
E poiché tu sola governi la natura delle cose
né qualsiasi cosa nasce senza di te nelle celesti regioni della luce,
né esiste qualcosa di lieto o amabile,
vorrei che tu fossi la mia musa nel scrivere versi,
che desidero cantare della natura delle cose
per il nostro Memmio, che tu, o dea, in ogni tempo
volesti che splendesse in tutte le cose ornato di virtù.
Per questo da', o dea, eterna bellezza alle mie parole.
Frattanto fa' in modo che le violente azioni militari
sia per mare sia per terra cessino sopite.
Infatti tu sola puoi giovare ai mortali con una tranquilla pace
poiché Marte che governa le guerre,
si stende, sfinito dall'eterna ferita d'amore, sul tuo seno,
e così guardandoti reclinato il liscio collo
pasce d'amore, a te anelando, gli avidi sguardi,
e mentre è sdraiato pende dalla tua bocca il sospiro,
tu o diva abbraccialo col tuo corpo santo mentre riposa,
fai scendere alla tua bocca dolci parole
chiedendo tranquilla e gloriosa pace per i Romani;
infatti noi non possiamo scrivere, senza preoccupazioni,
in questo tempo travagliato per la patria, né alla famosa stirpe di Memmio
in questi tempi non può mancare la salvezza comune.

Come abbiamo già visto Lucrezio è fortemente iconoclasta e critico verso il pantheon tradizionale romano, e non strano che inizi un poema, dove espone delle tesi materialistiche con l'invocazione della dea Venere? Come si concilia la supplica a Venere con la teologia epicurea che vedeva gli dei come degli enti estranei alla vita dell'uomo? Sono numerose le interpretazioni di questo inno. Alcuni vi vedono la celebrazione della pax, uno dei valori epicurei, di cui la dea è depositaria, altri considerano venere il simbolo della voluptas, , personificazione della forza fecondatrice della natura o allegoria del principio di vita cintrapposto al principio di morte che sarebbe Marte. Oppure alcuni vi vedono la personificazione del conflitto empedocleo tra φιλία ed ἔρις amore ed odio. Non bisogna neppure scordarsi che Venere era la dea protettrice del casato di Memmio, il destinatario dell'opera. Nel passo sono presenti alcune caratteristiche tipiche della lingua poetica lucreziana: le forme arcaicizzanti, le numerose anafore e allitterazioni, le perifrasi poetiche. Tali forme sono state consapevolmente utilizzate per rendere il lepos la grazia sottile nella composizione. Tutta la scena dell'epifania della dea è stata delineata con termini derivati dal campo semantico della luminosità. Venere è comunque vista come una musa, come una divinità ispiratrice, la sola capace di rendere leggerezza e grazia allo scritto. I versi 1 e 2 sono dedicati all'invocazione della dea, poi vi è la cosiddetta aretologia, cioè l rassegna delle virtù della dea e poi le richieste di favori. Segue l'excursus sul mito e compare ancora una richiesta per la dea.

Nessun commento:

Posta un commento