sabato 11 aprile 2009

Orazio Ode I 38

(Metro: strofe saffica tre endecasillabi saffici più un adonio)

Persicos odi, puer, apparatus,
displicent nexae philyra coronae,
mitte sectari, rosa quo locorum
sera moretur.

Simplici myrto nihil adlabores 5
sedulus, curo: neque te ministrum
dedecet myrtus neque me sub arta
vite bibentem.

Oh fanciullo detesto lo sfarzo delle cerimonie persiane
non mi piacciono le corone intrecciate con nobili fronde,
desisti dal cercare il luogo dove la rosa
tardi ad appassire.

Non mi preoccupo che tu solerte
aggiunga qualcosa al semplice mirto; il mirto
non macchia né te che servi né me
che siedo sotto la vite.


E' l'ultima ode del libro primo, il poeta chiede al ragazzo che lo serve di non preoccuparsi di altro che delle piccole cose che lo allietano.
Questa è un'ode alla serenità che giunge dopo l'estate nel mite autunno, il poeta non vuole lo sfarzo, l'oro, oppure le corone di nobili fronde,
egli preferisce bere dotto la l'umile vite in tranquillità. Possiamo però notare nella classica compostezza anche una vena di malinconia quando dichiara di rifiutare la rosa per il mirto, e sappiamo che la rosa è il simbolo della giovinezza e dell'amore e la rinuncia di essa è fonte di dispiacere.
Lo stile è semplice e limpido, che ricalca il senso questa poesia fornisce un esempio di quel " minimo di segni massimo di poesia" che per Nietzsche rappresenta la forza della poesia oraziana. Traina, infine, aggiunge che tutta l'ode è giocata su una triplice.

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